giovedì 13 marzo 2014

Aborto: l’obiezione di coscienza e il diritto negato


 

L’obiezione di coscienza ha avuto negli anni un profondo slittamento semantico: da scelta individuale e libertaria di chi rifiutava la leva militare, è diventata un’imposizione della propria visione morale prossima all’omissione di servizio pubblico, come nel caso dei medici obiettori che si rifiutano di praticare le interruzioni di gravidanza. I numeri ufficiali riportano un aumento costante del fenomeno, ma quelli reali sono ancora più allarmanti.

di Chiara Lalli, da MicroMega 9/2013Chi sono gli obiettori di coscienza?
Oggi la risposta più frequente sarebbe: i ginecologi che non vogliono eseguire interruzioni di gravidanza (Ivg) per ragioni «di coscienza». Alcuni anni fa sarebbe stata diversa: l’incarnazione più genuina dell’obiettore di coscienza era il ragazzo che riceveva la cartolina precetto e rifiutava di fare il servizio di leva obbligatorio, finendo in carcere. A lungo questa scelta è stata oggetto di riprovazione morale, condannata dai tribunali e dalle gerarchie cattoliche in nome di una «difesa della patria» che non poteva che passare per le armi. Ci sono stati molti casi di persone processate e mandate in carcere per aver strappato la cartolina, e persone accusate di apologie di reato per aver difeso pubblicamente quella scelta 1.

Che cosa è successo all’obiezione di coscienza?
Nel corso di alcuni anni c’è stato un profondo slittamento semantico che ha trasformato una scelta individuale e libertaria in un’imposizione della propria visione morale, a volte moralista e ipocrita, prossima all’omissione di servizio, e che ha spinto una pratica sanitaria in un terreno di scontro di coscienze.

Come possiamo chiamare nello stesso modo il ginecologo che non vuole eseguire aborti e chi rifiutava l’obbligo di leva armata?
Le differenze sono enormi e impediscono paragoni affrettati: la cartolina ti arrivava senza che tu avessi compiuto alcuna scelta, il prezzo da pagare era altissimo (condanna sociale, processi, galera). La tua scelta non ricadeva sulle spalle di nessun altro, non entrava in conflitto con i diritti di un altro individuo ma con un obbligo generale e astratto.

Il ginecologo obiettore ha deciso liberamente di fare il ginecologo e di esercitare la sua professione nel pubblico. Essere obiettore non è una scelta che comporta una qualche conseguenza, ma è anzi una scelta comoda. Si lavora anche di meno. La 194 non prevede nemmeno alcun servizio alternativo, com’era stato per l’obbligo di leva quando negli anni Settanta era stata riconosciuta la possibilità del servizio alternativo alla leva armata. La garanzia del servizio di Ivg sarebbe un obbligo – uno dei doveri professionali di chi ha scelto di lavorare nell’ambito della riproduzione umana – conseguente a una libera scelta professionale, e nulla ha a che fare con l’obbligo di leva.

Per alcuni, è anche una scelta ipocrita: molti obiettori continuano a suggerire e a eseguire diagnosi prenatali, tirandosi però poi indietro se la decisione della donna è di interrompere la gravidanza. Spesso senza nemmeno indicare loro un medico non obiettore – come la legge impone e come la coscienza medica e personale dovrebbe suggerire – ma dicendo: «Sono obiettore, non posso intervenire». È bene sapere che le donne che chiedono o accettano di eseguire indagini prenatali sono in genere donne che vogliono poter scegliere. Quelle che invece sono convinte che non interromperebbero mai una gravidanza, anche in presenza di patologie fetali importanti, non vogliono sapere. Non vogliono eseguire diagnosi prenatali, non solo perché presentano un rischio di aborto, ma soprattutto perché quell’informazione non ha senso, e non la vogliono. «Sapremo al parto», dicono.

Se è indubitabile che l’obiezione di coscienza sia un diritto, è altrettanto indubitabile che la suddetta affermazione abbia un significato ambiguo, strettamente vincolato al contesto. Cosa intendiamo per obiezione di coscienza? Quella contra legem del militare, o quella intra legem del ginecologo? Quella che rivendicava una scelta individuale, o quella addomesticata e risucchiata dalla legge? E perché è stata usata la stessa espressione, perché non chiamare opzione o facoltà l’esonero concesso dalla 194, visto che non si oppone ad alcun obbligo, ma è anzi regolata dalla norma stessa?

Inoltre dobbiamo ricordare che nessun diritto è assoluto, ma dipende dagli altri diritti con cui può entrare in conflitto – in questo caso la garanzia del servizio di Ivg – e con i doveri professionali. La 194, pur prevedendo la possibilità di ricorrere all’obiezione, traccia confini abbastanza chiari e stabilisce la gerarchia da seguire: prima la richiesta della donna, poi la coscienza dell’operatore sanitario. Tuttavia, questi confini sono violati sempre più spesso e con un’inspiegabile strafottenza.

C’è infine un’altra conseguenza: isolare l’Ivg, allontanarla dal dominio della salute riproduttiva. Renderla un’eccezione, una questione più morale che medica, una questione di coscienza – come se solo i ginecologi ne avessero una.

La contaddizione interna della 194
Questo è il vizio di nascita dell’obiezione di coscienza in ambito sanitario: assorbita dal diritto positivo, somiglia sempre più all’esercizio di un privilegio. Secondo l’articolo 9 2, gli operatori sanitari possono essere esonerati «dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente 3 dirette a determinare l’interruzione della gravidanza, e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento». Inoltre «gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare l’espletamento delle procedure previste dall’articolo 7 e l’effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità previste dagli articoli 5, 7 e 8». L’obiezione di coscienza «non può essere invocata dal personale sanitario, ed esercente le attività ausiliarie quando, data la particolarità delle circostanze, il loro personale intervento è indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo». Come dicevo, i confini dell’esercizio dell’obiezione di coscienza sono abbastanza netti. Il servizio Ivg dovrebbe essere sempre garantito, la legge lo colloca su un gradino più alto della coscienza degli operatori sanitari, è illegale che in una struttura non vi sia la possibilità di abortire e in alcune circostanze l’obiezione decade. La cronaca ci rimanda spesso una realtà diversa: donne lasciate ore in attesa, spostate, mandate via, insultate, lasciate soffrire perché «se lo meritano».

La prima evidenza sulla 194 è che una legge che stabilisce un servizio e contemporaneamente ne indica gli strumenti di sabotaggio è una legge intimamente contraddittoria e a rischio – una legge che nel 1978 non poteva che essere scritta così, considerato che chi aveva scelto la specializzazione di ginecologia e ostetricia l’aveva fatto quando non era permesso interrompere una gravidanza. La seconda è la disapplicazione dell’articolo 9.

L’obiezione oggi: numeri e conseguenze
La contraddizione rappresentata dall’articolo 9 è resa più dannosa dall’applicazione sempre più disinvolta e frequente dell’obiezione di coscienza. I numeri ufficiali rimandano un aumento costante negli anni, e che ha raggiunto livelli di palese illegalità. La relazione ministeriale sull’applicazione della 194 del 2013 4 conferma una media nazionale che supera il 70 per cento di ginecologi obiettori.

Secondo i dati ufficiali, nel 2012 le interruzioni volontarie di gravidanza sono state 105.968: sono diminuite del 4,9 per cento rispetto alle 111.415 del 2011. La diminuzione è più evidente se si considera che nel 1982 sono state eseguite 234.801 Ivg, con un decremento del 54,9 per cento. Il tasso di abortività, cioè il numero di interruzioni volontarie di gravidanza per 1.000 donne tra i 15 e i 49 anni, nel 2012 è di 7,8 per 1.000, con un decremento dell’1,8 per cento rispetto al 2011 e del 54,7 per cento rispetto al 1982. È uno dei valori più bassi dei paesi industrializzati.

È dal 1983 che il numero delle Ivg diminuisce costantemente e relativamente a tutti i gruppi di età, minorenni comprese (nel 2011 il tasso è stato di 4,5 per 1.000). Diminuiscono anche le interruzioni ripetute e quelle dopo i primi 90 giorni. Le donne straniere costituiscono un terzo delle Ivg totali, ma la diminuzione si comincia a osservare anche in questo dominio.
Volgendo l’attenzione all’obiezione di coscienza si osserva il fenomeno opposto. Negli ultimi trent’anni l’aumento è stato del 17,3 per cento.

Dovremmo ricordare il contenuto dell’articolo 9 ogni volta che veniamo a sapere di un’interruzione volontaria di gravidanza negata o resa quasi impossibile. Dovremmo ricordarcene e definire l’accaduto come omissione di pubblico servizio e non come una manifestazione di «coscienza». A questo proposito, una recente nota della Cassazione 5 ha confermato l’ovvio: «Integra il delitto di rifiuto di atti di ufficio la condotta del medico in servizio di guardia che, richiesto di assistere una paziente sottoposta a intervento di interruzione volontaria di gravidanza, si astenga dal prestare la propria attività nelle fasi antecedenti o successive a quelle specificamente e necessariamente dirette a determinare l’aborto, invocando il diritto di obiezione di coscienza, attesi i limiti previsti dall’articolo 9 legge 22 maggio 1978, n. 194, all’esercizio di tale facoltà. (In applicazione del principio, la Corte, in relazione a un’interruzione di gravidanza indotta per via farmacologica, ha affermato che l’esonero da obiezione di coscienza è limitato alle sole pratiche di predisposizione e somministrazione dei farmaci abortivi, ma non si estende alle fasi “conseguenti”). In tema di rifiuto di atti di ufficio, il carattere di urgenza dell’atto ricorre nel caso del medico in servizio di guardia che sia richiesto di prestare il proprio intervento da personale infermieristico e medico con insistenti sollecitazioni, non rilevando che il paziente non abbia corso alcun pericolo concreto per effetto della condotta omissiva».

Il comunicato che accompagna la relazione ministeriale sembra essere animato da un eccessivo ottimismo, una visione che rischia di essere ingenua o menzognera rispetto alla presunta «equa distribuzione»: il numero di Ivg pro capite e per anno si è dimezzato, perciò anche se il numero di obiettori ha di molto superato quello dei medici che garantiscono il servizio Ivg – la media nazionale del 70 per cento è solo una descrizione approssimativa di una realtà che presenta anche strutture con l’80, il 90 e il 100 per cento di operatori sanitari obiettori – non ci sarebbe poi molto da preoccuparsi. «I numeri complessivi del personale non obiettore appaiono congrui al numero complessivo degli interventi di Ivg. Eventuali difficoltà nell’accesso ai percorsi Ivg sembrano quindi dovuti a una distribuzione inadeguata del personale fra le strutture sanitarie all’interno di ciascuna regione. In collaborazione con le regioni, il ministero delle Salute ha avviato un monitoraggio a livello di singole strutture ospedaliere e consultori per verificare meglio le criticità e vigilare, attraverso le regioni, affinché vi sia una piena applicazione della legge su tutto il territorio nazionale, in particolare garantendo l’esercizio del diritto all’obiezione di coscienza dei singoli operatori sanitari che ne facciano richiesta e, al tempo stesso, il pieno accesso ai percorsi di Ivg, come previsto dalla legge, per le donne che scelgano di farvi ricorso».

Beatrice Lorenzin dice che è la prima volta che il monitoraggio sul territorio «arriva fino ad ogni singola struttura e ad ogni singolo consultorio», ma dimentica di specificare che nei consultori non si dovrebbe discutere di obiezione di coscienza perché non si eseguono Ivg. L’ottimismo sembra voler cancellare o ignorare le difficoltà vissute da molte donne in questi anni, e quelle dei pochi medici che cercano di garantire il servizio Ivg: «I dati della relazione», si legge nel comunicato del ministero, «indicano che relativamente all’obiezione di coscienza e all’accesso ai servizi la legge ha avuto complessivamente una applicazione efficace. Stiamo lavorando per verificare, insieme alle regioni, la presenza di eventuali criticità locali per giungere al più presto al loro superamento».

Non si parla di obiezione «di struttura», che è illegale ma è di fatto esercitata da alcuni ospedali, privi del reparto Ivg e della possibilità di eseguire una Ivg, invisibili alla rilevazione: in un ospedale in cui non c’è il reparto Ivg non c’è nemmeno bisogno di dichiararsi obiettore di coscienza. Non si dice nulla dell’impossibilità di scegliere tra l’aborto chirurgico e quello medico, ovvero la Ru486 6, né dell’assurdo e illegale richiamo all’obiezione di coscienza rispetto alla contraccezione d’emergenza 7 o, come già detto, all’obiezione invocata nei consultori familiari.

Non ci si sofferma sulle profonde differenze – nella garanzia del servizio – da regione a regione, da città a città, che ha reso un servizio tanto dipendente da chi ti capita di incontrare in ospedale. Il monitoraggio è una buona notizia, ma la difficoltà verosimilmente non starà tanto nel sapere come l’Ivg non è applicata in Italia, ma nell’indicare le possibili soluzioni per far fronte alla sempre più eterogenea e difettosa garanzia della 194.

Lo scenario reale però sembra essere però peggiore di quello descritto dal ministero e connotato da particolari che la relazione non rileva. La Laiga – Libera associazione italiana di ginecologi per l’applicazione della legge 194 – ha raccolto i dati telefonando alle singole strutture, visto che non esiste un registro dettagliato degli obiettori di coscienza. Ecco alcuni dati. Nel Lazio, in 10 ospedali su 31 non esiste il servizio Ivg. Alcuni centri pubblici non eseguono Ivg, come l’Ospedale civile di Tarquinia e il San Benedetto di Alatri. In Lombardia, in 37 su 64. Tra gli ospedali con i numeri più alti di obiettori di coscienza ci sono: Ospedali riuniti Borgomanero (Novara), con 10 obiettori su 11; San Gerardo (Monza), 21 su 23; Ospedale civile (Como), 18 su 20; Ospedali civili riuniti (Venezia), 8 su 10; A.O. Villa Scassi (Genova), 12 su 15; Policlinico Umberto I (Roma), 39 su 40; Università di Napoli (Napoli), 57 su 60; Ospedale Fazzi (Lecce), 18 su 21; Ospedale civile (Cosenza), 15 su 16. Negli Ospedali civili di Bosa, Ozieri e Businco (Sardegna) tutti i ginecologi sono obiettori di coscienza.

L’alto numero di obiettori significa non solo allungare i tempi di attesa, ma complicare l’accesso soprattutto in alcune circostanze. Come nelle città piccole, dove magari c’è un solo ospedale ma nessun reparto di Ivg.
L’obiezione di struttura, vietata dalla 194, è insomma una realtà molto praticata. Le interruzioni tardive sono ancora più difficili: non solo clinicamente il quadro è più rischioso, ma sono ancora meno le strutture in cui si possono eseguire e i medici in grado e disposti a eseguirle. Chi vive in una delle province del Lazio deve andare a Roma. C’è uno spostamento da regione a regione, e c’è anche uno spostamento verso altri paesi 8. Per chi può permetterselo. Le altre si arrangiano.

La solitudine del medico non obiettore
Le conseguenze di questo smodato esercizio dell’obiezione di coscienza non riguardano solo l’applicazione della 194. Investono anche la formazione, l’incapacità di far fronte agli aborti spontanei, l’arretratezza delle tecniche, lo spingere l’aborto nell’ombra e negli angusti spazi delle amicizie e dei colleghi non obiettori – sì, anche quelli che scelgono l’obiezione di coscienza abortiscono, se sono uomini saranno le loro mogli, sorelle, amanti, cugine, amiche.
Infine, c’è anche la difficoltà e la solitudine dei medici che hanno scelto di essere medici senza riserva – è buffo che non ci sia una definizione che non sia per negazione: non obiettori. Questo ennesimo effetto collaterale ha un duplice volto: effettivo e simbolico.

Mirella Parachini, ginecologa del San Filippo Neri a Roma aderente alla Laiga, ricorda che negli Stati Uniti arrivano anche a spararti se sei un ginecologo che esegue aborti, mica solo a guardarti storto. «Lo stigma si estende ai parenti e alla donna stessa che spesso distingue l’aborto buono e quello non buono. Io stessa a volte mi sorprendo a specificare: non faccio solo quello, faccio anche interventi endoscopici». Parachini però sottolinea che non si può generalizzare. «Un conto è la realtà in un ospedale come il mio: siamo 4 non obiettori e il servizio funziona – essendo l’unico ospedale laico di Roma Nord, ci arrivano le pazienti dal Gemelli o dal Fatebenefratelli, dove i medici corteggiano la paziente per la diagnostica prenatale e poi la abbandonano. Un conto è, per esempio, Rossano Calabro, dove un medico è stato accusato di omicidio 9. Ricordo che il ginecologo ha detto “per fortuna sono solido”, perché ci vuole poco a passare per assassino in un contesto ostile, ritrovandoti anche tutta la stampa contro. La differenza tra la condizione urbana e quella provinciale è enorme».

C’è poi un altro elemento importante nella vita del medico non obiettore: il tuo capo. «Il mio è obiettore ma fa di tutto per aiutarmi nel mio lavoro e per garantire il funzionamento del servizio. Se invece hai un capo che ti rema contro può essere davvero penoso. L’obiezione, d’altra parte, non è un’intrinseca patente di merito o demerito. Trovi sia l’obiettore sia il non obiettore poco attento. Penso a quelle figure di non obiettori in età di prepensionamento che non sono molto interessati, e forse solo per una bizzarra coerenza – o forse per cinismo – non si sognano di obiettare, ma non importa loro né il contatto con la donna, né l’aborto farmacologico. Lo fanno in modo meccanico. Al proposito mi domando spesso se per fare questo mestiere serva un’empatia diversa rispetto ad altre pratiche. Magari anche per alleviare la tentazione di giudicare? Soprattutto sulle interruzioni tardive. Non è sempre facile non giudicare, ma non è il nostro mestiere».

Che fare?
Per arginare gli effetti attuali si potrebbe cominciare applicando l’articolo 9. La questione della legittimità dell’obiezione di coscienza oggi, a tanti anni di distanza dalla legge, impone invece una risposta diversa. Perché mantenere il privilegio di non eseguire un’interruzione di gravidanza per chi ha scelto liberamente di esercitare una certa professione? Come risolvere quella contraddizione interna della 194 che stabilisce un servizio e, allo stesso tempo, la possibilità di sottrarvisi?
La soluzione meno contraddittoria sembra essere la fine della possibilità di ottenere l’esonero da alcune pratiche, cioè la fine della possibilità di invocare l’obiezione di coscienza per l’interruzione volontaria di gravidanza. Non solo hai scelto una professione medica, ma hai scelto di lavorare in una struttura pubblica: anche la garanzia dell’Ivg rientra nei tuoi compiti professionali 10.

Non significa che sarebbe una strada facilmente percorribile, soprattutto se la discussione rimane impantanata in un conflitto di coscienze e non si sposta su quella dei doveri professionali e dei mezzi necessari per garantire alcuni servizi pubblici. Sarebbe però l’unico modo per evitare che la legittima richiesta della donna rischi di rimanere schiacciata dalla visione personale e paternalistica del medico.

NOTE

[1] Tra i casi più noti quelli di Pietro Pinna, Aldo Capitini, padre Ernesto Balducci, Giuseppe Gozzini, don Lorenzo Milani.
[2] Le leggi che in Italia prevedono l’obiezione di coscienza oggi sono: la 194/1978, la legge 413/1993 sulla sperimentazione animale e la legge 40/2004 sulle tecniche riproduttive.
[3] I corsivi sono miei.
[4] www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2023_allegato.pdf.
[5] Sez. VI, 2 aprile 2013, n. 14979.
[6] La possibilità di assumere la Ru486 è limitata da regolamenti regionali che impongono il ricovero e la sua commercializzazione in Italia è stata accolta da un’isteria diffusa che non s’è ancora sedata. A parte alcune regioni virtuose – come la Toscana e l’Emilia Romagna – la Ru486 è scarsamente disponibile a ben 4 anni dal suo arrivo in Italia. Non è difficile intravedere una ragione ideologica. Facilitare l’accesso all’Ivg farmacologica significherebbe ridurre le liste di attesa, facilitare il servizio, sgonfiare il potere dell’obiezione di coscienza usata come arma per impedire e controllare. La scusa ufficiale è bizzarra: le donne sarebbero lasciate da sole. Per non lasciarle sole, si impedisce loro di scegliere.
[7] Alcuni calcando erroneamente sulla natura «abortiva» della contraccezione d’emergenza.
[8] Pochi giorni fa al parlamento europeo è stata discussa una proposta di risoluzione dal titolo «Sulla salute e i diritti sessuali e riproduttivi» (A7-0306/2013). La relatrice, Edite Estrela, si è soffermata sulla non garanzia del servizio di Ivg. Sia in paesi con leggi restrittive, sia in paesi con leggi permissive che finiscono per essere svuotate di senso e garanzie dall’esercizio smodato dell’obiezione di coscienza. «Si osservi che sempre più spesso vengono imposti ostacoli ai servizi per l’aborto in paesi che hanno leggi permissive in materia. […] La pratica dell’obiezione di coscienza ha negato a molte donne l’accesso ai servizi di salute riproduttiva, per esempio a informazioni, all’accesso e all’acquisto di contraccettivi, a visite prenatali e all’interruzione legale della gravidanza. In Slovacchia, Ungheria, Romania, Polonia, Irlanda e Italia sono stati segnalati casi in cui quasi il 70 per cento di tutti i ginecologi e il 40 per cento degli anestesisti oppongono l’obiezione di coscienza alla possibilità di eseguire aborti. Questi ostacoli sono evidentemente in contrasto con le leggi sui diritti umani e con le norme mediche internazionali». E sugli anestesisti si pone anche un’altra domanda: la loro attività può davvero essere considerata tra quelle «direttamente volte a»? La stessa domanda può essere sollevata per tutti gli altri, ginecologi esclusi. E se state pensando «però la responsabilità morale», dovremmo allora chiederci dove è giusto fermare la catena causale della complicità. Al tassista? All’accettazione? Al portiere dello stabile in cui vivi?
[9] Aprile 2010: viene eseguita un’interruzione alla ventiduesima settimana ma il feto nasce vivo.
[10] Non è certo solo la professione medica a scontrarsi con questioni «di coscienza»: si pensi agli avvocati, ai giudici o a molti altri mestieri. Se non vuoi correre il rischio di difendere uno stupratore, eviti di fare l’avvocato d’ufficio.

(12 marzo 2014)

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