martedì 21 febbraio 2012

Le patriote del Sud

Risorgimento

 Il ruolo delle eroine meridionali nella costruzione dell’Unità d’Italia. Antonietta De Pace, una combattente

Uno dei periodi storici più travagliati d’Italia è stato sicuramente quello Risorgimentale.
Ma anche quello più partecipato della nostra lunga storia, poiché in gioco c’era la conquista di un’unità nazionale, che fu sì raggiunta ma con il sacrificio di molti giovani uomini e donne. Questa sofferta “epopea” merita di essere approfondita, al di là delle celebrazioni che l’hanno vista al centro del dibattito politico e culturale del nostro paese lo scorso anno (ricorrendo il 150° anniversario dell’unità d’Italia), dato che ancora oggi in alcuni suoi aspetti rimane poco esplorata.
Tante, tantissime sono state le protagoniste femminili, giovani patriote di ogni classe sociale, borghesi e popolane, del Nord e del Sud della penisola, mandate sotto processo, talvolta esiliate, incarcerate, finite al patibolo negli anni cruciali della costruzione dell’Unità d’Italia. Ricordiamo Colomba Antonietti di origine umbra, morta accanto al marito vestita da uomo, o Carolina Santi Bevilacqua di Brescia che allestì e diresse un ospedale da campo, in cui morì il figlio, la principessa Cristina Trivulzio di Belgiojoso, che da Napoli condusse in Lombardia un battaglione di duecento uomini per combattere contro gli austriaci. E perché non ricordare anche Irma Bandiera, che accettò il patibolo davanti alla casa dei suoi figli pur di non rivelare i nomi dei combattenti. Alcune di loro, va ricordato, parteciparono alla lotta risorgimentale fin dai suoi primi tempi. È questo il caso di Eleonora Fonseca Pimentel. Scrittrice e poetessa, durante la brevissima esperienza della Napoli repubblicana nel 1799 fu tra le prime ad essere condannata a morte dai sostenitori della monarchia borbonica. Salì sul patibolo con grande dignità pronunciando la frase del poeta Virgilio: “Forse un giorno gioverà ricordare tutto questo”.
Tuttavia, grazie agli studi di Maria Sofia Corciulo e di Renata De Lorenzo dell’Università di Napoli “Federico II”, siamo in grado di ricostruire le vicende di alcune protagoniste del nostro “Risorgimento meridionale”, donne finalmente sottratte all’oblio: la vita, le passioni e il coraggio di Antonietta De Pace di Gallipoli (Le), di Serafina Apicella, originaria del Cilento, di Alessandrina Tombasco del Cilento, di Giuseppa Bolognara da Barcellona (Me), di Enrichetta Caracciolo da Napoli, di Giuseppina Turrisi Colonna da Palermo, di Giuseppina Vadalà da Messina, di Rosalia Denti da Palermo, di Teresa Filangieri da Napoli, di Luisa Granito da Napoli, di Maria Giuseppina Guacci da Napoli, di Grazia Mancini da Napoli, di Marianna Oliverio di Cosenza, di Lucrfezia Plutino da Reggio Calabria e di Firminia Siciliano Garlasco da Potenza.
In questo articolo mi soffermerò soltanto sulla storia di Antonietta De Pace, una donna che con grande determinazione e coraggio abbracciò le idee repubblicane e organizzò le combattenti, cosiddette “giardiniere”, contro il modello imposto dal Regno Borbonico e dalla cultura del tempo.
Antonietta nacque il 2 febbraio del 1818 a Gallipoli, in provincia di Lecce, da Gregorio, un banchiere napoletano, e da Luisa Rocci Cerasoli, una nobildonna d’origine spagnola i cui fratelli avevano partecipato attivamente alla Repubblica napoletana del 1799.
Ad otto anni Antonietta rimase orfana del padre, morto in circostanze misteriose. Perciò, insieme alle sorelle Chiara, Carlotta e Rosa, fu rinchiusa nel monastero delle clarisse di Gallipoli, la cui badessa apparteneva alla famiglia De Pace. La sorella Rosa sposò Epaminonda Valentino, responsabile della corrispondenza politica mazziniana tra Napoli e la Terra d’Otranto. È grazie a lui che Antonietta entrò a far parte della “Giovine Italia”. Il cognato Epaminonda morì in carcere a Lecce, a soli 38 anni. La fine prematura del cognato spinse Antonietta a lasciare Gallipoli per andare a vivere a Napoli con la sorella Rosa e i nipoti, dove collaborò attivamente con il comitato napoletano della “Giovine Italia”, presieduto allora dall’avvocato tarantino Nicola Mignogna. Qui nel 1849 fondò un Circolo femminile, composto prevalentemente da donne di estrazione nobile o alto borghese, i cui parenti si trovavano nelle carceri borboniche, allo scopo di mantenere i rapporti fra i detenuti politici e i loro parenti, e far pervenire nelle carceri viveri e altri mezzi di sussistenza, lettere e informazioni politiche. Oltre a dirigere il Circolo femminile, e il successivo Comitato politico femminile, attivo negli anni 1849-1855, Antonietta collaborò ad associazioni patriottiche meridionali, quali l’Unità d’Italia, che propagandavano l’unificazione dei numerosi movimenti politici del Meridione sotto l’egida repubblicana. A causa della sua attività, considerata eversiva, fu costretta a cambiare spesso abitazione, per non coinvolgere la sorella Rosa e per depistare la polizia borbonica. Arrestata il 26 agosto 1855, non esitò ad inghiottire, appallottolandoli, due proclami di Mazzini. Fu sottoposta a continui interrogatori e vessazioni di ogni tipo, senza mai rivelare alcunché delle sue attività cospirative. Il procuratore generale Nicoletti chiese per lei una condanna esemplare a morte. In un processo che fece molto scalpore, perché l’imputato era una donna e, per giunta, appartenente all’alta borghesia. Assolta perché la giuria si divise, dopo la sua liberazione visse strettamente sorvegliata dalla polizia, ma non abbandonò la sua attività di cospiratrice, anzi fondò a Napoli un Comitato politico mazziniano. Nell’ottobre del 1858 incontrò Beniamino Marciano, un giovane prete liberale di Striano, che era venuto ad abitare nello stesso edificio in cui risiedeva Antonietta. Tra i due nacque subito un intenso rapporto sul piano sentimentale e politico, che si coronò con il matrimonio celebrato nel 1876 quando Antonietta aveva già 58 anni.
Quando il 7 settembre 1859 Garibaldi entrò trionfalmente a Napoli con ventotto ufficiali, lo accompagnavano due donne, Emma Ferretti e Antonietta De Pace, vestite con i colori della bandiera italiana. Alla morte di Cavour, Antonietta De Pace si recò a Torino per i funerali, accolta con grandi onori dai patrioti meridionali che sedevano nel Parlamento italiano. Tanto che Garibaldi non poté fare a meno di scrivere: “…Voi donne, interpreti della divinità presso l’uomo, molto già avete fatto per l’Italia e molto ancora dovete operare per l’avvenire. Molto confido nelle donne di Napoli”.
Antonietta tornò a Gallipoli dopo trentaquattro anni di assenza e si dedicò all’educazione dei fanciulli, che esortava dicendo: “Noi abbiamo fatto l’Italia, voi dovete conservarla, lavorando a farla prospera e grande”. Morì la mattina di un giorno di sole a 76 anni. Il suo ritratto ad olio, dipinto dal Sogliano, è esposto al Museo civico della città di Gallipoli, mentre il Comune le intitolò una via cittadina e nel 1959 ebbe il suo nome anche l’Istituto Professionale Femminile di Lecce.

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Eroine (non più) dimenticate
La cordicella che veniva concessa alle donne condannate all’impiccagione per “custodire il pudore” tenendo legati i lembi della veste durante l’impiccagione venne rifiutata a Eleonora de Fonseca Pimentel, che “dovette far fronte alla morte senza le mutande che le avevano strappato via mentre indossava l’abito delle recluse”. I suoi illustri natali non le valsero neppure per avere il “triste privilegio di morire di scure anziché di laccio”, tanto i rivoltosi - soprattutto se donne - erano odiati dall’aristocrazia. È uno dei ritratti delle eroine del Risorgimento - tratteggiati sapientemente e curati con particolari che restituiscono con efficace immediatezza la loro umanità - da Marina Cepeda Fuentes in “Sorelle d’Italia. Le donne che hanno fatto il Risorgimento” (ed Blu). L’autrice, spagnola da tempo in Italia e giornalista dai multiformi interessi, racconta ‘l’altro Risorgimento’ attraverso documenti e testimonianze, leggende e poesie. Un libro che ha il pregio di porgere storie ed episodi con eleganza e dovizia di riferimenti e che si unisce ad altri studi nella convinzione che non basta qualche strada intitolata o qualche lapide impolverata a rendere omaggio a quelle eroine.
T.B.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Non dimentichiamo il loro sacrifico! Custodiamo almeno la loro memoria ed il rispetto!
Grazie Nella!

Marcy Rossi

Anonimo ha detto...

E seguiamo il loro esempio per salvare il nostro Paese!
Nella