venerdì 6 gennaio 2012

Unicredit mette in guardia chi investe “L’euro potrebbe saltare”

  L'avviso nel prospetto dell'aumento di capitale. Improvvisa missione di Monti a Bruxelles. Per il premier giro d'incontri con i vertici Ue: in gioco la trattativa sul rigore per i conti pubblici
Con i mercati europei che si avvitano al ribasso e lo spread italiano che torna a volare oltre i 520 punti si fa presto a concludere che gli investitori finanziari vedono nuovi guai in arrivo per l’euro. Ma per capire davvero quanto siano aumentati negli ultimi mesi il pessimismo e la sfiducia sul futuro della moneta unica può essere utile dare un’occhiata a un paio di paginette del prospetto informativo dell’aumento di capitale di Unicredit che prenderà il via lunedì prossimo. “Rischi connessi alla crisi del debito dell’area euro”, questo il titolo di uno dei paragrafi del voluminoso documento pubblicato. È la prima volta che una grande banca italiana, mentre si appresta a chiedere denaro ai propri azionisti, decide di mettere in guardia i risparmiatori anche da una possibile dissoluzione della valuta continentale. Certo, è solo un’ipotesi tra molte altre che, secondo i manager di Unicredit potrebbero influenzare nei prossimi mesi l’andamento della banca. Il solo fatto che un rischio euro venga menzionato riesce però a dare l’idea delle tensioni e dei timori sul mercato.

“Le preoccupazioni relative all’aggravarsi della situazione del debito sovrano dei Paesi dell’Area Euro potrebbero portare alla reintroduzione, in uno o più Paesi dell’Area Euro di valute nazionali o, in circostanze particolarmente gravi, all’abbandono dell’Euro”. Questo è quanto si legge a pagina 66 del prospetto. Insomma, nei prossimi mesi non è da escludere neppure un ritorno alla vecchia lira. Semplice ipotesi, ovviamente, ma i vertici del secondo gruppo bancario italiano, il più attivo oltrefrontiera con una forte presenza in Germania, non hanno potuto fare a meno di segnalare il rischio euro. “È una forma di tutela legale contro un rischio di carattere sistemico”, precisa una fonte ufficiale di Unicredit.

Un rischio che adesso, però, è diventato ben più concreto rispetto al recente passato. Prospetto a parte, va detto che ieri Unicredit ha trascinato al ribasso l’intera Borsa italiana. Alla vigilia dell’aumento di capitale il titolo del colosso bancario ha perso addirittura il 17 %, che si aggiunge alla caduta del 16 % registrata mercoledì. Il crollo si spiega in parte con il forte sconto (43 %) rispetto al prezzo di mercato a cui le nuove azioni verranno collocate. Molti operatori hanno così preferito vendere adesso per poi ricomprare da lunedì. Ieri, però, è stato l’intero settore bancario a perdere terreno in Borsa per effetto anche della nuova impennata dello spread.

E ad aumentare la sensazione di allarme presente sui mercati ha contribuito anche la notizia dell’improvvisa e inaspettata partenza di Mario Monti alla volta di Bruxelles per alcuni incontri, non meglio specificati, con i vertici Ue. Il premier ha così aperto la sua campagna d’Europa: curiosamente però, per la cosa più importante che farà a palazzo Chigi, le sue doti accademiche non conteranno niente. Quel che serve oggi è un bel po’ di politica: guidare, convincere, mediare. Se, infatti, il premier non riesce a persuadere il duo Merkel-Sarkozy ad abbandonare i furori rigoristi del nuovo Patto fiscale europeo per l’Italia, l’Ue e la sua moneta non c’è futuro. Vedremo poi i particolari, ma appare chiaro che gli investitori non si fidano del cosiddetto “accordo salva euro” a trazione tedesca. Ieri la Borsa di Milano s’è persa per strada 11, 3 miliardi di euro (-3, 6 %) e lo spread Btp-Bund, come detto, è tornato sopra i 520 punti. Se a questo si aggiunge che il differenziale coi titoli tedeschi ieri ha colpito anche Francia (150) e Spagna (380), si capisce che gli investitori si stanno convincendo che l’euro è destinato al decesso e chiedono tassi di interesse adatti alle (future) monete nazionali.

Questo è il quadro che Mario Monti si è trovato davanti ieri a Bruxelles, accompagnato dalle “referenze” di Giorgio Napolitano: “Monti ha tutti i titoli per porre all’Ue questioni che riguardano il modo di garantire rigore e crescita”, ha detto il Colle. “Inoltre – ha aggiunto Napolitano – il decreto approvato dal Parlamento è la prova come l’Italia sia, anche sul debito pubblico, affidabile”. Tanta enfasi è giustificata dal fatto che oggi gli sherpa dei vari governi cominciano la trattativa sulle modifiche alla bozza di Trattato intergovernativo firmata il 9 dicembre. I tempi sono stretti: un paio di settimane per la stesura definitiva, accordo al Consiglio europeo del 30 gennaio, firma definitiva a marzo. Si tratta di un testo pericolosissimo: sanzioni automatiche per gli sforamenti del deficit e un percorso di rientro al 60 % del rapporto debito/Pil a colpi di un ventesimo l’anno (per l’Italia significa 45-50 miliardi), per non citare che le due minacce più gravi. I professori hanno proposto alcuni emendamenti il cui senso è “va bene il rigore, ma bisogna tenere conto del ciclo economico”, cioè che siamo in recessione. Tradotto: se non cresciamo, anche con la spesa pubblica, siamo morti.

Ora che sa cosa vuole fare, però, a Monti resta la cosa più difficile: convincere la Merkel e gli altri paesi nordici. Monti insomma cerca alleati (Polonia e Belgio non bastano): oggi ci proverà con Sarkozy, la commissione è già dalla sua parte e mercoledì potrà presentarsi alla Cancelliera tedesca avendo chiara la situazione. Con una freccia al suo arco: con la Gran Bretagna già fuori dai giochi, il potere di veto dell’Italia è enorme.

di Vittorio Malagutti e Marco Palombi

da Il Fatto Quotidiano del 6 gennaio 2012

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