“Le preoccupazioni relative all’aggravarsi della situazione del debito sovrano dei Paesi dell’Area Euro potrebbero portare alla reintroduzione, in uno o più Paesi dell’Area Euro di valute nazionali o, in circostanze particolarmente gravi, all’abbandono dell’Euro”. Questo è quanto si legge a pagina 66 del prospetto. Insomma, nei prossimi mesi non è da escludere neppure un ritorno alla vecchia lira. Semplice ipotesi, ovviamente, ma i vertici del secondo gruppo bancario italiano, il più attivo oltrefrontiera con una forte presenza in Germania, non hanno potuto fare a meno di segnalare il rischio euro. “È una forma di tutela legale contro un rischio di carattere sistemico”, precisa una fonte ufficiale di Unicredit.
Un rischio che adesso, però, è diventato ben più concreto rispetto al recente passato. Prospetto a parte, va detto che ieri Unicredit ha trascinato al ribasso l’intera Borsa italiana. Alla vigilia dell’aumento di capitale il titolo del colosso bancario ha perso addirittura il 17 %, che si aggiunge alla caduta del 16 % registrata mercoledì. Il crollo si spiega in parte con il forte sconto (43 %) rispetto al prezzo di mercato a cui le nuove azioni verranno collocate. Molti operatori hanno così preferito vendere adesso per poi ricomprare da lunedì. Ieri, però, è stato l’intero settore bancario a perdere terreno in Borsa per effetto anche della nuova impennata dello spread.
E ad aumentare la sensazione di allarme presente sui mercati ha contribuito anche la notizia dell’improvvisa e inaspettata partenza di Mario Monti alla volta di Bruxelles per alcuni incontri, non meglio specificati, con i vertici Ue. Il premier ha così aperto la sua campagna d’Europa: curiosamente però, per la cosa più importante che farà a palazzo Chigi, le sue doti accademiche non conteranno niente. Quel che serve oggi è un bel po’ di politica: guidare, convincere, mediare. Se, infatti, il premier non riesce a persuadere il duo Merkel-Sarkozy ad abbandonare i furori rigoristi del nuovo Patto fiscale europeo per l’Italia, l’Ue e la sua moneta non c’è futuro. Vedremo poi i particolari, ma appare chiaro che gli investitori non si fidano del cosiddetto “accordo salva euro” a trazione tedesca. Ieri la Borsa di Milano s’è persa per strada 11, 3 miliardi di euro (-3, 6 %) e lo spread Btp-Bund, come detto, è tornato sopra i 520 punti. Se a questo si aggiunge che il differenziale coi titoli tedeschi ieri ha colpito anche Francia (150) e Spagna (380), si capisce che gli investitori si stanno convincendo che l’euro è destinato al decesso e chiedono tassi di interesse adatti alle (future) monete nazionali.
Questo è il quadro che Mario Monti si è trovato davanti ieri a Bruxelles, accompagnato dalle “referenze” di Giorgio Napolitano: “Monti ha tutti i titoli per porre all’Ue questioni che riguardano il modo di garantire rigore e crescita”, ha detto il Colle. “Inoltre – ha aggiunto Napolitano – il decreto approvato dal Parlamento è la prova come l’Italia sia, anche sul debito pubblico, affidabile”. Tanta enfasi è giustificata dal fatto che oggi gli sherpa dei vari governi cominciano la trattativa sulle modifiche alla bozza di Trattato intergovernativo firmata il 9 dicembre. I tempi sono stretti: un paio di settimane per la stesura definitiva, accordo al Consiglio europeo del 30 gennaio, firma definitiva a marzo. Si tratta di un testo pericolosissimo: sanzioni automatiche per gli sforamenti del deficit e un percorso di rientro al 60 % del rapporto debito/Pil a colpi di un ventesimo l’anno (per l’Italia significa 45-50 miliardi), per non citare che le due minacce più gravi. I professori hanno proposto alcuni emendamenti il cui senso è “va bene il rigore, ma bisogna tenere conto del ciclo economico”, cioè che siamo in recessione. Tradotto: se non cresciamo, anche con la spesa pubblica, siamo morti.
Ora che sa cosa vuole fare, però, a Monti resta la cosa più difficile: convincere la Merkel e gli altri paesi nordici. Monti insomma cerca alleati (Polonia e Belgio non bastano): oggi ci proverà con Sarkozy, la commissione è già dalla sua parte e mercoledì potrà presentarsi alla Cancelliera tedesca avendo chiara la situazione. Con una freccia al suo arco: con la Gran Bretagna già fuori dai giochi, il potere di veto dell’Italia è enorme.
di Vittorio Malagutti e Marco Palombi
da Il Fatto Quotidiano del 6 gennaio 2012
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