giovedì 29 dicembre 2011

Auguri di Buon Anno dal treno

 
Carissimi
vi scrivo per  farvi gli auguri per il nuovo anno che ormai sta per arrivare!
L’anno che verrà è però ricco di incognite e non basterà certo solo il rituale augurio di serenità  per cambiare il corso delle cose, come ognuno di noi può ben immaginare!
Il pericolo del fallimento  dell’Italia è ormai dietro l’angolo e   la prova di questo è nei provvedimenti messi in atto da questo governo, che seppure chiamato a salvare l’Italia, ha solo accelerato lo stravolgimento di quelle che fino a pochi giorni fa sembravano certezze e che ora si appresta a stravolgere anche le regole del mercato del lavoro.
Non possiamo certo sottacere  il grave pericolo economico che da un giorno all’altro può travolgere in maniera più grave ed irreversibile il nostro Paese,  non solo il nostro progetto di vita, ma anche la nostra serenità  e quelle che fino a pochi giorni fa erano le nostre certezze.
Tutto vanificato, la situazione economica, com’era ampiamente prevedibile persino dal più incolto dei cittadini Italiani, non è migliorata nemmeno sotto la cura di cavallo che ci hanno impartito: aumento delle tasse in maniera intollerabile, che   colpiscono   la parte più debole della popolazione,   slittamento dell’età della pensione, che rende quasi irraggiungibile  per centinaia di migliaia d’Italiani  questo traguardo o per quelli che rimasti senza lavoro pensavano di avere, almeno, questa possibilità per sopravvivere.
Di contro nessuna patrimoniale per i grandi capitali, né in Italia, né all’estero,  che, come sappiamo, da sola avrebbe potuto aiutare la crescita nel nostro Paese.
Vi sono questi e altri problemi seri, concreti  vitali, decisivi e più pericolosi conseguenza della grave crisi che il Paese sta attraversando.
Sempre più gente si suicida perché perde il lavoro e non ha da dar da mangiare ai suoi figli ;decine di migliaia di lavoratori sono disperati e saranno senza pensione che si allontana di quinquenni, oppressi da un futuro che non c’è più,  studenti, operai, ricercatori, salgono sui tralicci per protesta, i servizi precipitano in qualità e quantità, ecc... “siamo ad un dato sociale che sta in fondo ad un burrone nero coi lupi all’attacco.”
Ed ancora le misure annunciate oggi da Monti per la crescita appaiono come uno specchietto per le allodole se si pensa che questo dramma si possa risolvere con la cancellazione degli albi professionali e la modifica del mercato del lavoro che non c’è e non potrà esserci senza un’adeguata e seria politica economica nel nostro Paese che ci avvii verso la cancellazione del debito, la grande massa di debito accumulata di cui  il nostro sistema economico e finanziario è l’artefice ed il colpevole.
Avere privatizzato la Banca d’Italia è stato il grande errore, le banche private sono la nostra rovina ed i banchieri al governo non possono che aggravare la nostra rovina.
IL TRENO DELLE DONNE PER LA COSTITUZIONE
si oppone a questo sistema, vuole costruire fin da subito un’alternativa a questa politica finanziaria, vuole dare battaglia concreta per la riduzione e/o cancellazione del debito che sta strozzando la nostra economia  ispirandosi al modello Islandese per salvare il Paese.
In questo momento in cui disperazione e scontento sono palesi, dove la protesta è un dato diffuso e la rabbia è regola ovunque manca però una volontà di creare alternativa, di fornire al paese un progetto di riscatto, una reale proposta che si configuri al contempo più valida, efficace, eticamente condivisibile ma soprattutto risolutiva per il nostro Paese, ebbene noi la stiamo preparando, stiamo costruendo questa alternativa con impegno e grazie al coinvolgimento di economisti e professionisti di grande professionalità e passione; il Treno li ha riuniti, ha dato loro spazio e sostegno... presto avremo quindi la nostra alternativa che proporremo ai concittadini italiani, ma che si configurerà come una vera e propria sterzata di timone a livello europeo e più in là... vogliamo raccogliere attorno a noi tutte le forze che in Italia prima ed in Europa si battono per un rapporto sano, onesto ed etico tra finanza ed economia, ora è giunto il momento, e questa sarà la nostra battaglia non violenta ma decisa... per questo serve anche il tuo apporto, il tuo tempo e il tuo entusiasmo.
Ti chiediamo quindi di aderire ed iscriverti all’associazione del Treno e di collaborare con noi per far crescere l’Associazione,  stiamo formando una squadra, raccogliendo adesioni e presto chiederemo ad ognuno dei soci di assolvere ad un compito, per far ciò necessita conoscere la tua disponibilità possibilmente entro il 10 gennaio 2012. 
Scrivete alla redazione del Treno (retedonnesiciliane@libero.it), parlateci di voi! soprattutto:
•  diteci di cosa vi occupate, qual’è la vostra professione,

•  in cosa vi sentite ferrate sia come competenza sia come passione (nella scrittura, nel disegno, nell’organizzazione, nell’amministrazione, nell’informatica, nelle relazioni, nell’insegnamento, ecc ecc), il Treno è un organismo versatile ed aperto, interdisciplinare, qualunque professionalità è non solo bene accolta ma può rivelarsi utile e preziosa per l’Associazione.

•  che lingue conoscete ed a che livello (importante), come presto vedrete il Treno ha una vocazione europea, e non solo...

•  quanto tempo libero potete e volete dedicare alle attività del Treno (a seconda della vostra disponibilità e delle vostre competenze il Treno potrebbe chiedervi un po’ del vostro impegno, agendo come una sorta di “banca del tempo interna”).

•  diteci se siete disponibili ad assumere incarichi operativi, lavorando in team, in rete, per lo sviluppo delle progettualità che il treno promuoverà, sosterrà e gestirà e per tutto ciò che concerne le attività, i collegamenti e la gestione della Associazione.

Un grande impegno il nostro, gioioso ma serissimo, che riteniamo necessario per cambiare le sorti del nostro Paese, per recuperare livelli di convivenza civile e di passione civica che si stanno perdendo; obbiettivi che solo con la forza, l’entusiasmo e la volontà delle donne sarà possibile concretizzare!
Nel ringraziarti per la partecipazione, auguriamo a Te ed a tutti noi Buon Anno!!! 
La Presidente del Treno
Nella Toscano

martedì 27 dicembre 2011

Il Grande Inganno: l’oro e la guerra

 

       
Prima del 1914 un’oncia d’oro valeva 20 dollari in United States Note. Con una banconota da 20 dollari si comprava, al netto delle spese di cambio, una moneta d’oro del peso di gr. 31 circa. Oggi occorrono 50 banconote da 20 dollari (Federal Reserve Notes) per comprare la stessa moneta d’oro, ammesso che sia disponibile.
Il che sembra ovvio o, meglio, “fisiologico”. Tutto si spiegherebbe con la perdita, nel corso del tempo, del potere d’acquisto della moneta, ignorando il fatto che chiunque ne faccia uso deve simultaneamente farsi carico di un debito e assumere l’onere perpetuo di pagarne gli interessi.
Il che, beninteso, non è evidente, ma grazie alle alchimie politiche e alla scienza attuariale è economicamente corretto, anche se eticamente truffaldino.
La moneta a corso legale, infatti, non è soltanto un mezzo di pagamento, ma può diventare, con estrema facilità, lo strumento di speculazione del capitale privato.
Chi non ci crede, potrebbe dare un’occhiata al capitale di Bankitalia o della BCE in regime Euro (nell’anno Domini 2011). Ma dovrebbe anche chiedersi perché a Londra esiste il LBMA (London Bullion Market Association), inaccessibile luogo in cui viene quotidianamente fissato il prezzo dell’oro sul mercato mondiale.
Che la cosa avvenga dal 1919 (l’anno dei diffusi sospetti) è poco convincente, anche se rivestita di ufficialità. La pratica infatti risale al 1815, ma il vero precedente è del 1773. Allora l’idea di Mayer Amschel Bauer diventa tecnica finanziaria che condizionerà l’economia dell’età contemporanea.
Costui (Mayer Amschel) ha una piccola bottega a Francoforte sul Meno, ma non è artigiano, bensì mercante d’oro, come lo chiameranno più tardi almeno due generazioni di regnanti inglesi, cioè “The Goldsmith” (che significa anche “gold dealer”). Appellativo che gli resterà appiccicato anche quando suo figlio, Nathan Mayer, sarà nominato baronetto da Re Carlo III (dinastia Hanover) e da questi assunto in via permanente alla corte britannica, in qualità di consigliere economico di Sua Maestà.
L’idea (sulle prime assai peregrina) di Mayer Amschel Bauer consiste nel finanziare il Re (in oro) a patto che questi gli affidi il compito esclusivo di esattore delle imposte, ferma restando la facoltà del finanziatore di negoziare i certificati di deposito equivalenti su piazze diverse.
Il progetto è geniale, ma per realizzarlo occorre entrare nel giro della “Judengasse”, dove l’oro si scambia col denaro liquido in cospicue quantità e ben oltre la competenza di meno nobili strozzini che prosperano nei vicoli adiacenti.
Nel salto di qualità è anche opportuno assumere un nuovo cognome, che (per legge) si deve cambiare. Lo suggerisce uno scudo rosso (Roth-Schild), simbolo che troneggia sopra la vecchia bottega del banco dei pegni. Mayer Amschel diventa Rothschild. Ma è solo il primo passo. Occorre coinvolgere i grandi “Gold Dealers” di Francoforte, invitandoli a impiegare i loro sostanziosi capitali in operazioni più redditizie (rispetto a quelle correnti e limitate alla sola piazza della città sul Meno). Maestro nell’arte della persuasione e assai dotato di fiuto diplomatico, Rothschild instaura una sorta di colossale gioco senza frontiere, puntando l’intera posta sul tallone d’Achille delle grandi potenze, il bilancio.
Pretese imperialistiche e fermenti sociali non sono per lui che segnali indicatori del giusto investimento dei crescenti capitali di cui egli può gradualmente disporre.
L’oro è “moneta” internazionale, capace di comprare popoli e sovrani e di sostituirsi alle banconote correnti (lo sanno i monarchi sognatori e i rivoluzionari che rincorrono utopie). Ma può diventare un vincolo o costituire viceversa credenziale necessaria (e non sempre, sufficiente) alle manovre finanziarie che le circostanze politiche possono giustificare. Tutte cose che Rothschild intuisce, prevedendo possibilità di guadagno sulla convertibilità della moneta, ma lucrando anche sulla negoziazione dei certificati di deposito che l’equivalente in oro dovrebbero rappresentare. Fra controversie mai pienamente definite, nasce così il gold-standard.
Ma il dubbio sulla concreta esistenza d’una riserva aurea (corrispondente alla circolante moneta) è secolare, come del resto quello sulla variabilità del rapporto oro/moneta.
L’idea del Rothschild diventa comunque, nell’Europa rivoluzionaria e nei decenni a venire, criterio monetario, in base al quale si crea moneta e si lucra sul gettito fiscale.
Questo è possibile anche quando dell’oro non si dispone (o se ne è perso il possesso). Come?
Contrattando i certificati di deposito equivalenti alle Borse di Parigi, Londra e Francoforte, per farne fra l’altro riserva sostitutiva che giustifichi l’emissione di altre banconote (nel linguaggio Fed, “legal tender”), cioè denaro d’uso corrente.
Nella circostanza (al tempo dell’”illuminato” Mayer Amschel) si prospetta al Re l’opportunità di tutelare la difesa del Regno, acquistando armamenti.
L’oro, in caso di guerra, è garanzia reale, ma nei mercati finanziari si trattano i titoli che lo rappresentano. Lo impareranno, a loro spese, il Bonaparte a Waterloo e, centotrenta anni più tardi, Adolf Hitler.
S’inaugura così l’economia speculativa del libero mercato che mal sopporta gli equilibri politici e vede, nel conflitto armato, ghiotte occasioni di guadagno.
Rothschild si garantisce l’esclusiva competenza sulla negoziabilità dei certificati di deposito e l’eventuale agganciamento al gold-standard, costituendo Rothschild Houses, a Londra, Parigi, Vienna e Napoli, alla cui guida il neo banchiere colloca (Francoforte compresa) i suoi cinque figli.
L’ordine è imperativo: prima di cedere l’oro al Re, gli si fa sottoscrivere un contratto, in cui egli riconosce il debito (del regno) e autorizza il finanziatore ad emettere moneta, in quantità equivalente, attraverso una o più banche. Vale in tal senso il noto certificato di deposito, sottoscritto dal monarca, che dell’oro ha bisogno, per fare una guerra o soffocare una rivoluzione (oppure, come spesso accade, per risanare il bilancio). La convertibilità dell’oro in moneta corrente è utilissima nel caso in cui il Re diventasse insolvente o rifiutasse di seguire certi consigli politici. I cospiratori in tali evenienze si pagano in banconote, così come le rivoluzioni che, senza soldi, non si possono fare.
Nello stesso modo si finanziano anche le forze reazionarie, purché il successivo governo, nato dalla restaurazione, affidi a Casa Rothschild il controllo della finanza pubblica.
Il Network dello Scudo Rosso funziona alla perfezione, visti i tempi che corrono in Europa e nel Nuovo Mondo, dove la Corona inglese rischia di perdere il controllo politico e monetario della sua colonia nordamericana. Il capostipite dei Rothschild, oltre che astuto mercante, è attento osservatore di una società in fermento, in cui le tensioni fra classi s’avvicinano al punto di rottura, mentre si va affermando nel Vecchio Continente la forza del “Terzo Stato” o Borghesia.
Il Teatro europeo sembra ideale campo di applicazione della tecnica generatrice del debito pubblico permanente, per mezzo della quale si può trasformare il patrimonio nazionale in capitale privato.
Essa è suggerita dal principio secondo cui il denaro (alias certificato di deposito in oro, la cui concreta esistenza può anche essere ipotetica) è mezzo di pagamento liberatorio dai vincoli di un debito, che pur dipende dal… dove e quando. Cioè dalla diversa valutazione dell’oro o del certificato che lo rappresenta. Questo spiega, fra l’altro, perché Edoardo III nel 1345 rifiutò di aderire alle richieste del banchiere Bardi di Firenze. Infatti, perdurando allora la Guerra dei Cent’Anni, la quotazione dell’oro era alle stelle nel Regno Inglese (grazie all’alta richiesta del metallo prezioso, destinato all’acquisto di armi e alla costituzione di nuovi eserciti) e costituiva pretesto per non soddisfare le pretese del banchiere fiorentino (che chiedeva, documenti alla mano, la restituzione della stessa quantità d’oro a suo tempo prestata al Monarca).
Capitale che, convertito in fiorini, “valea un Regno” come ci racconta il Villani, perché riferito al prezzo dell’oro, ma in circostanze e tempi diversi.
Quattrocento anni dopo, grazie al suo intuito, Rothschild può ovviare all’inconveniente mettendo in gioco i mercati finanziari (Amsterdam, Londra, Francoforte e più tardi Parigi e New York), nei quali sono negoziati i certificati di deposito. Di mezzo c’è sempre “Re Mida”, che ha messo insieme un bel mucchio di questi documenti rappresentativi e intende investirli dove l’oro vale di più: sulla piazza in cui c’è maggiore richiesta, perché si prevede una guerra e un aumento di spesa per gli armamenti, oppure un moto rivoluzionario e la fornitura d’armi e denaro agli insorti. Il clima teso, originato da spinte imperialistiche e prospettive d’indipendenza, agevola l’impiego di capitali (oro o corrispondenti certificati).
Ma, come già osservato, se il Re deve fare la guerra, il prezzo dell’oro sale. Di conseguenza uno scaltro investitore, messo nelle condizioni di poterlo fare, favorisce lo scoppio del conflitto, nascondendo opportunamente i meno nobili intenti che lo causano.
Il banchiere del Re, che non può ignorare i rapidi sviluppi del razional-liberalismo, troverà infatti buone occasioni d’investimento nel finanziare anche quelli che al Re si oppongono, a condizione che l’”affidamento” (o debito) sia poi pagato sotto forma di tributo dai cittadini contribuenti. Il ruolo del banchiere prevede dunque l’eventualità ch’egli possa, all’occorrenza, farsi portavoce di masse oppresse, se ciò favorisce i suoi obiettivi finanziari, non escludendo l’ipotesi di un proprio decisivo sostegno al presunto oppressore, contro cui sarà legittimo finanziare una guerra di liberazione. Quest’ultima rientra in tal modo nel novero delle guerre giuste, finanziariamente sostenute, allo scopo di trarne comunque un profitto.
Casa Rothschild diventa specialista del settore e opera attraverso una rete di selezionati agenti, sparsi in Europa, Asia e le due Americhe.
Nella Francia di Luigi XVI si nota l’allarmante aggravarsi del debito pubblico che sfiora nel 1783 il picco insostenibile di 1.640 milioni di “livres”, grazie alle incaute manovre del Ministro delle Finanze Calonne, che già è ricorso al mercato dell’oro gestito dal Rothschild. Le tasse a carico dei contadini non bastano a pagare gli interessi. S’impone la famigerata “taglia”, classica goccia che fa traboccare il vaso. E il resto che segue è noto. I titoli del Regno francese sono trattati alla Borsa di Francoforte e Londra che ne determinano un sensibile calo, tanto da indurre Parigi a sospendere le contrattazioni. Al Re che non paga si taglia la testa e… nasce l’età contemporanea. A Londra si costituiscono le prime “Accepting Houses” nei cui forzieri è custodita gran parte del Tesoro della Corona francese. La regìa della finanza londinese è affidata a Nathan Mayer Rothschild, il quale propone l’immediato sganciamento della sterlina dal gold standard quando si forma la Settima Coalizione che a Waterloo dovrà porre fine all’aggressività e ai sogni utopistici del Bonaparte, che da anni saccheggia l’oro di mezza Europa, Nord Africa e Russia. Sono queste le due facce del gold standard, sorta di feticcio che nasconde da un lato le virtù del Sacro Graal e nel rovescio il codice della perfetta fregatura.
Gli Stati Uniti hanno conquistato l’indipendenza politica, ma l’economia americana è sempre più schiava del “Metodo Rothschild”, grazie ad un meccanismo funzionale alla pratica del noto Fiat Money, che molti già chiamano London Connection.
Qualcosa che ricorda il “Trick or trade?” e la tradizione di Halloween. Si tramanda anch’essa da padre in figlio, come le generazioni di banchieri internazionali.
Così, le crisi economiche, ricorrenti dal 1837, quasi eguagliano in frequenza gli scherzetti di fine ottobre, come l’ordine di richiamo, improvviso e ingiustificato, dei “crediti a breve termine” e simili stregonerie bancarie. È il trucco che negli States (e non solo) causa insolvenze a catena, crack finanziari e sindromi da panico collettivo. Il trade è l’ovvia fase successiva che, tradotta, significa aumento del tasso di sconto e del gettito fiscale, diminuzione del potere d’acquisto della moneta e ulteriore indebitamento pubblico.
In questo modo indipendenza e autonomia (politica ed economica) vanno a farsi benedire.
Nel complesso gioco imperialistico del primo Novecento, si misurano astuzia finanziaria e la potenza delle armi, perché la posta in palio è il controllo dei territori ricchi di materie prime e, in particolare come già ricordato, del petrolio.
L’indebitamento dello Stato precede dunque l’emissione di moneta, cioè un flusso di liquidità da impiegare con urgenza per non causare ulteriore inflazione e passivi insostenibili.
I mercati finanziari stimolano così gli investimenti pubblici, obbligando lo Stato ad aumentare le spese per gli armamenti.
Cosa fa uno Stato indebitato e ben provvisto di armi? Cerca di usarle, per limitare il passivo. E poi perché le armi non impiegate sono inutili – servono come deterrente, ma non migliorano i bilanci – il loro impiego, dietro i più banali pretesti e le più artefatte provocazioni, può trasformare un passivo in attivo, fino a quando non interviene un altro Stato, pieno di debiti, ma armato fino ai denti che è costretto a proporsi come belligerante. Una sorta di reazione a catena, come quella ben meditata dai Rothschild, nel periodo che precede la Prima Guerra Mondiale. Debito, economia instabile, passivi insostenibili, ampia disponibilità di armamenti, obbligo al loro impiego, guerra.
Ecco lo scenario che si delinea in Europa, all’indomani dell’entrata in vigore del Federal Reserve Act (gennaio 1914), quando inizia la piena attività della Federal Reserve Bank of New York, strumento operativo della Bank of England, che a sua volta è in stretta connessione con la House of Rothschild.
Woodrow Wilson è ottimo giurista che non prescrive rimedi, come egli stesso confessa. Lasciando intendere che corruzione e degrado morale possono serpeggiare al Congresso e alla Casa Bianca, sotto gli occhi del Presidente, come se non fosse sua competenza e dovere adottare opportuni provvedimenti per eliminarli. A Washington però come nell’Atene di Pericle, libertà e democrazia sono miti dell’Olimpo, che vendono bene. Basta confezionarli come pregiata merce d’esportazione.
All’uopo viene fondata l’American International Corporation, secondogenita del Federal Reserve System e gigantesca rete del Corporate Banking.
La politica americana, che non rinuncia al costante richiamo al suo breviario mitologico, inaugura così la grande missione di propaganda fede, secondo un nuovo, perfezionato rituale, capace di nascondere, all’ombra di un mito, il raggiro e la truffa, pur evidenti, ma tanto consueti da essere infine ammissibili, perché origine di un mortificante, colossale e inconfessabile equivoco.

lunedì 26 dicembre 2011

Ora sappiamo cosa voleva dire Bini Smaghi. Saltiamo, e lui è saltato.

[Alcune considerazioni su...]
 
Ora sappiamo cosa voleva dire Bini Smaghi. Voleva dire “Saltiamo in aria, è confermato. Draghi si assuma le responsabilità. Voglio che si metta agli atti che io mi ero dissociato”. E salta come i topi dalla classica nave. Precisamente questo. Saltiamo in aria.
Ieri è trapelata una notizia che non può più lasciare incertezze. La notizia è questa: la Swift, che è l’agenzia belga che gestisce i codici elettronici per le transazioni finanziarie (si legga codice Swift, Iban ecc.) è stata contattata da due banche di “stazza globale” che le chiedevano di fornirgli i vecchi codici per i sistemi di gestione delle vecchie valute europee, cioè Drakme e Lire. Cioè: diteci i codici per tornare a scambiare Drakme e Lire nei pagamenti. Non so se si è capito. Sanno che saltiamo in aria, si stanno preparando alla nostra uscita dall’Euro, all’esplosione dell’Eurozona, adesso, oggi. Sto parlando di quelli che le cose le sanno davvero, non i politici che voi ascoltate, ma le mega banche. E non solo.
Il governo britannico ha dato ordine alle sue forze di sicurezza di preparare l’evacuazione di emergenza dei cittadini inglesi da Spagna e Portogallo, nel caso di “una implosione delle banche” di questi due Paesi.
Fonte: il Wall Street Journal.
Ancora: i tassi sui titoli di Stato britannici a 10 anni hanno toccato ieri il minimo storico dal 1890. No, non ho sbagliato a scrivere, non è 1980, ma proprio 1890. Mettete le due notizie insieme: chi sa le cose, sa che l’Euro salta in (almeno) Italia e Grecia; chi sa le cose, si avventa sui titoli di Stato della Gran Bretagna che ha moneta sovrana, se ne frega dell’enorme debito pubblico inglese (149,1% del PIL, fonte: The Office for National Statistics UK) e li compra mentre si liberano dei nostri. Il governo inglese vede crollare i tassi che paga (per loro fortuna), i nostri schizzano alle stelle (per nostra rovina).
Ancora: le grandi banche francesi sono fallite, sono già fallite, perché chi sa le cose, sa che la loro esposizione al debito italiano e greco è enorme, impossibile da saldare per Italia e Grecia con la moneta Euro, e soprattutto impossibile da saldare perché noi saltiamo in aria. La maggiori banche italiane falliranno con le francesi, che si trascineranno le tedesche, le austriache e poi tutto il resto. Per salvare le banche, occorrerebbe un Quantitative Easing (un salvataggio fatto dalla Banca Centrale Europea a forza di denaro pompato nelle riserve delle banche fallite) nell’ordine di dieci volte i miseri 489 miliardi di Euro che Draghi gli ha messo a disposizione. (non sarebbero soldi dei contribuenti, come erroneamente tutti strillano, ma semplicemente denaro inventato dal nulla dalla BCE a fronte di collaterale delle banche)
Bini Smaghi questo chiedeva ieri l’altro. Ma salvare le banche non è solo immorale (andrebbero nazionalizzate, e poi salvati i non-speculatori e le aziende), è anche inutile, perché anche se le banche si ritrovassero con le riserve piene di soldi, non tornerebbero a prestare a economie ridotte da straccioni dalle politiche di austerità che ci hanno imposto. Risultato: le banche ci fanno fallire sia che le si salvi, sia che non lo si faccia e le si lasci fallire.
A fronte di questo, ecco cosa ha fatto Draghi. Nulla, anzi, ha ribadito il suo NO al salvataggio dei titoli di Stato dei Paesi come Italia e Grecia: “La scorsa settimana, la Bce ha praticamente azzerato l'acquisto di titoli di Stato sul mercato secondario” (fonte Il Sole 24 Ore). Tradotto per tutti: il nocciolo del reattore nucleare sta fondendo, Draghi si è girato dall’altra parte, e nel farlo ha anche chiuso i circuiti di raffreddamento del nocciolo. Saltiamo in aria, si torna alla Lira ma senza un’economia da sani di mente come la Modern Money Theory, cioè sarà un macello sociale mai visto in 60 anni. Questo è ciò che ci aspetta al 99,9%. Saltiamo e la Swift lo sa bene, le banche lo sanno bene.
p.s. (E se invece accade lo 0,1%? In quel caso faranno l’Euro a due velocità, cioè la kosovizzazione dell’Italia, stesso macello, nulla cambia. Oppure la BCE soffoca Draghi nel suo bagno, e compra titoli dell’Eurozona sborsando 5 o 10 mila miliardi di Euro, non 211 miliardi come ora. Ma anche questo sarà solo un tampone che non dura. Perché il dramma è l’Euro in sé. E' L'EURO. Mi fermo qui, mancano poche ore a tortellini e panettone. Ma io sono un giornalista...)

venerdì 23 dicembre 2011

FACCIAMO COME L'ISLANDA - CANCELLIAMO IL DEBITO


 
Continuano a farci credere che per
uscire dal debito dobbiamo accettare
manovre lacrime e sangue che ci impoveriscono
e demoliscono i nostri diritti.
Non è vero. La politica delle manovre
sulle spalle dei deboli è voluta dalle autorità
monetarie europee come risultato
della speculazione. Ma è intollerabile che
lo Stato si adegui ai ricatti del mercato: la
sovranità appartiene al popolo!
Esiste un'altra via d'uscita dal debito. È
la via del congelamento e se la condividi
ti invitiamo a firmare e a diffondere questo
documento, affinchè si crei una grande
onda che dica basta alle continue manovre
che distruggono il tessuto sociale.
Il problema del debito va risolto alla radice
riducendone la portata. Non è vero
che tutto il debito va ripagato, il popolo
ha l'obbligo di restituire solo quella
parte che è stata utilizzata per il bene
comune e solo se sono stati pagati
tassi di interesse accettabili. Tutto il resto
(abusi, sprechi, corruzione) è illegittimo
e immorale come hanno sempre sostenuto
i popoli del sud del mondo.
Per questo chiediamo un'immediata sospensione
del pagamento di interessi e
capitale, con contemporanea creazione
di un'autorevole commissione d'inchiesta
che faccia luce sulla formazione
del debito e sulla legittimità di tutte le sue
componenti. Le operazioni che dovessero
risultare illegittime, per
modalità di decisione o per pagamento
di tassi di interesse
iniqui, saranno denunciate e
ripudiate come già è avvenuto
in altri paesi, ultima l’Islanda.
La sospensione sarà relativa alla parte di
debito posseduto dai grandi investitori
istituzionali (banche, assicurazioni, fondi
di investimento italiani e stranieri) che detengono
oltre l'80% del suo valore. I piccoli
risparmiatori vanno esclusi per
non compromettere la loro sicurezza
di vita.
Contemporaneamente va aperto un serio
e ampio dibattito pubblico sulle strade da
intraprendere per garantire la stabilità
finanziaria del paese secondo criteri di
equità e giustizia.
Almeno cinque proposte ci sembrano irrinunciabili:
- riforma fiscale basata su criteri di tassazione
marcatamente progressiva;
- cancellazione dei privilegi fiscali e
lotta seria all’evasione fiscale;
- eliminazione degli sprechi e dei privilegi
di tutte le caste: politici, alti funzionari,
dirigenti di società;
- riduzione delle spese militari alle sole
esigenze di difesa del paese e ritiro
da tutte le missioni neocoloniali;
- abbandono delle grandi opere faraoniche
orientando gli investimenti su un
indilazionabile risanamento dei territori,
sulla promozione di specifiche politiche
di sviluppo locale e sul miglioramento
dei servizi sociali col coinvolgimento
della società civile.
Attorno a queste poche, ma concrete rivendicazioni
è importante avviare un dibattito
quanto più ampio possibile. Se poi
l'onda crescerà, come speriamo, decideremo
tutti insieme come procedere per
rafforzarci e ottenere che questa proposta
si trasformi in realtà.
Francuccio Gesualdi, Aldo Zanchetta,
Bruno Amoroso, Antonio Moscato, Giorgio
Riolo, Rodrigo A. Rivas, Roberto Bugliani,
Amalia Navoni, Gigi Piccioni, Michele
Boato, Roberto Fondi, Alberto Zoratti,
Roberto Mancini, Gianni Novelli,
Achille Rossi, Alex Zanotelli, Paolo Cacciari,
Maurizio Frratta, Nadia Ranieri, Fabio
Lucchesi, Paola Mazzone, Carlo Contestabile
Ciaccio, Gaia Capogna, Enrico
Peyretti, Francesco Amendola, Uberto
Sapienza, Manuela Moschi, Mauro Casini

Dicembre 2011-Gennaio 2012 TERA e AQUA
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